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Friday, August 23, 2013

Insomma Michele, sempre Michele. Affittai per suo tramite la mia casa di San Saba ad un onorevole ccd, un amante dell'arte e della coca, le specialità minesiane; erano venuti in contatto attraverso uno dei Cardinali ed avevano entusiasticamente condiviso le loro passioni. Pidiellino, poi, la coca avrebbe mandato il tizio così fuori di testa da provocargli un giorno un episodio psicotico mentre era in compagnia di due trans, con intervento di CC e prime pagine dei giornali per giorni. Ma tant'è; è ancora in gioco, ancora di stanza a San Saba, sempre azzurro: la civiltà sofisticata di questo meraviglioso e incomprensibile paese che è l'Italia si esprime al meglio nella corruzione, è l'unico posto al mondo in cui la corruzione è una  disciplina accademica, metà scientifica e metà artistica, un valore tanto culturale quanto estetico.
  Mi trasferii a via Goito, che era anche più comoda per la mia impresa cilena; mantenni per breve tempo un rapporto interinale col Fungo, Nico mi chiamava volentieri a fare degli  extra per la mia conoscenza dell'ambiente e del lavoro, ma anche questo debole legame si inaridì col tempo. Non sono mai stato bravo a mantenere relazioni a lungo termine di nessun genere oltre quelle che si potrebbero definire contingenze esistenziali. Sono grande ad essere il più cordiale ed affidabile e profondo dei conoscenti ma una frana come amico, fidanzato o qualunque altra cosa richieda impegno attivo. So che nel suo modo brusco e ritroso lui ne soffrì. Il suo sarcasmo su me e Michele, le fidanzatine, era abbastanza atroce e crudele da darmi l'esatta misura del suo dolore  ma per quanto la cosa mi dispiacesse ero e sono sempre stato incapace di superare questo stato di passività esistenziale. Nella mia vita le cose accadono senza che ne abbia responsabilità e a volte nemmeno piena consapevolezza. Ciò mi porta a restare preda di soggetti più attivi di me che prendono le redini della mia esistenza quasi loro malgrado. So fare resistenza passiva se serve ma perlopiù lascio fare. Così faceva Michele con me, lui  un disastro personologico ambulante e pure così pieno di vita, di appetiti, di ferina malignità, ma l'essere più integralmente innocente che abbia conosciuto tanto costantemente, incessantemente fuori di sè passava i suoi giorni.
Nemmeno avrei potuto sapere quanto definitiva di lì a poco sarebbe stata la perdita del mio amico. Sembra che ad ogni svolta, ad ogni progresso della mia esistenza debba per forza pagarla qualcuno: la mia salvezza dal Chile fascista l'aveva pagata mia madre, morta a Mendoza di quella polmonite che aveva contratto a causa del passaggio  a piedi, di notte, del Cristo Redentore con due metri di neve. San Saba l'aveva pagata mio padre, che vi era morto di cirrosi epatica: l'avevo trovato una mattina, per terra nella sua stanza, nel  lago di sangue nero di un'emorragia gastroesofagea, e non sapevo se ero più disperato o stupefatto, se n'era andato senza una parola, senza un grido, senza un rumore, muto come era da anni ed io nella stanza accanto non mi ero accorto di nulla.
La mia affrancatura dalla schiavitù chimico-economica della Camerieria la pagò Nicola.  Da qualche settimana sembrava più affannato e tossiva più del solito, mi raccontarono gli amici, Luca, Albo , Riccardo Reggiani, al funerale; erano i sintomi di uno pneumotorace spontaneo di lieve entità, un classico per un forte fumatore e cocaine abuser come lui, esitato in un primo grave  pneumotorace ipertensivo un giorno in pieno servizio, dolore toracico, dispnea, svenimento con ricovero al Forlanini, inserzione di tubi , drenaggi...E non mi aveva detto niente, lo stronzo, e nemmeno loro, per indifferenza, per risentimento perchè mi ero salvato dal Fungo e da Reggiani e non ero più uno di loro, o chissà perchè. Avrebbe dovuto smettere di fumare, di sniffare, anche di bere ma in fondo lui aveva così poco che lo legasse a questa terra, due anziani genitori, un'esistenza meschina tra fumi di cucina e clienti pieni di merda, il servaggio della droga che inghiottiva il denaro consistente che guadagnava e con quello ogni velleità di proiezione esistenziale, inchiodandolo ad un vischioso presente senza pietà nè desideri. Come me, in fondo, che dovevo a Michele e al dottore del Ps del Policnico e forse alla mia ripugnanza della malattia e del dolore fisico una temporanea salvezza.
 Recidiva garantita, sennò, avevano detto i dottori,  e una notte, a casa a Spinaceto, solo,  non c'era nessuno ad accorgersi di lui, dell'emergenza,  si era lentamente soffocato, ogni inspirazione che andava a spirare nella pleura, comprimendo un grado in più , lentamente , inesorabilmente gli organi interni, stomaco, intestino, cuore, fino alla morte. Non c'era da stupirsi dello sguardo follemente angosciato che Luca ed Albo gli avevano visto nel viso bloccato dal rictus, il torso mezzo dentro e mezzo fuori dal letto a tentare una fuga impossibile dal suo Destino. Era stato troppo fatto o troppo ubriaco per accorgersi in tempo di quanto stava accadendo e cercare aiuto. Aiuto poi da chi? nel palazzone anonimo di edilizia popolare dove stava?, dove chiunque fosse entrato nel suo appartamento, protetto da grate e serrature blindate, il meno che poteva fargli era derubarlo o occupargli la casa, lui ancora preso ad esalare l'ultimo laborioso respiro.


               

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