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Thursday, December 26, 2013

Mappa psicopatologica  e della devianza dell'abitato di Contrada Fornaci 3

Il Poltergeist di Villa Controra

Non so bene se collocare il Poltergeist di Villa Controra tra le psicopatologie o le devianze: forse era un pò di tutte e due, e anche qualcosa di più e di diverso, anche considerato il tasso medio di paranormalità della zona. La storia della Villa era peculiare, forse non tale da implicare automaticamente la possessione del luogo; comunque forniva materiale ectoplasmico grezzo a volontà agli spettri che avessero voluto installarvisi.
 La struttura attuale era un curiosa costruzione in stile composito: poteva sembrare a prima vista spagnoleggiante, un patio chiuso da mura bianche rifinite di tegole in terracotta ne proteggeva alla vista l'ingresso padronale e dava su fitto parco di lecci, pini, olivi, cipressi, tuje e mimose in grandissima confusione. Alberi dai tronchi imponenti spuntavano ovunque, disputandosi ogni raggio di luce, persino dai muri stessi, scalzando i mattoni e spaccando le piastrelle colle loro radici, come se un proprietario indolente o particolarmente dendrofilo si fosse pervicacemente rifiutato di dare una regola a quel bosco selvaggio. In effetti era stato così, e da quanto mi raccontava Michele le radici delle conifere arrivavano a dissetarsi fino ai sifoni dei bagni, affacciandosi eteree nell'acqua dei water.
In realtà ad un esame più attento l'edificio rivelava un carattere di fondo più sofisticato, una vaga aria di stile Novecento più evidente dal prospetto opposto all'entrata, due ali che si slanciavano dalla collina ad abbracciare un colonnato al primo piano ed una veranda ad archi al piano inferiore. La costruzione era così mollemente adagiata sulla pendenza del colle che ciascuno dei tre piani di cui si componeva aveva una facciata sul vuoto ed un'uscita diretta sul terreno da un'altra parte, che dava su una terrazza, un'alcova, un portico rispettivamente; l'ignoto  progettista non aveva voluto farsi mancare nessuna modalità di articolazione dello spazio. Così ovunque: tetti a lastrico, balconcini, solarium, recessi interrati dalla funzione misteriosa, dependances, una grotta scavata a mano nel tufo per trenta metri di lunghezza e una diecina di profondità, ogni possibilità data dalla posizione e dalla composizione geologica dell'appezzamento era stata debitamente sfruttata: un'antologia architettonica, diciannove  vani (sette bagni) condensati in più o meno trecento metri quadri di superficie senza contare  terrazzi, verande, cortili e altri spazi all'aperto e naturalmente senza contare i locali interrati e poi magazzino, pollaio, conigliera, porcilaia per un maiale, piccionaia, cantina con botti di cemento per ventimila litri (!) etc di cui la tenuta disponeva. Ciliegina sulla torta, un campo da bocce regolamentare in mezzo alla vigna, dotato di panche di legno (ora marcio) per gli spettatori e di impianto di illuminazione, ormai arrugginito e in disuso.
Erano quasi tutti spazi minuscoli, da bambola, con altezze appena oltre i due metri in molti casi, bomboniere di stanze con tetti mansardati, con travi a vista, con archetti tra una stanza e un'altra e finestrine a doppi scuri che davano su viste mozzafiato della campagna intorno, pavimentate di vivaci piastrelle Vietri d'epoca, terza scelta, era pur sempre una villa di campagna, ma di sicuro effetto, nei colori dominanti di verde e rosa, in tono con i vetri colorati stile tiffany intorno al portone d'ingresso e col bassorilievo  in ceramica d'autore (un contadino all'ombra di un albero), posto accanto alla campana d'ottone brunito del patio, tradizionalmente destinata a chiamare al pranzo i braccianti nei campi.
Unico locale di una qualche ampiezza, doppia altezza in quasi tutta la sua estensione- eccettuata solo l'area pranzo e relativo fratino diciotto posti, drasticamente più bassa ed accessibile tramite quattro gradini-, era lo scenografico salone, venti metri lineari di vetrata ininterrotta scandita dalle bianche colonne e gloriosamente affacciata sulla Pianura Pontina ed i Monti Lepini, grande camino con un'enorme mensola di legno, arredato con tappeti persiani e divani vintage primi anni 60, (probabilmente lì dall'edificazione dell'immobile) e antiquariato hard, sedute duecentesche e simili.
Era uno scherzo di villa, una specie di voglio ma non posso edilizio, c'era tutto ma ingegnosamente realizzato col minimo delle risorse per il massimo dell'effetto. Le solenni colonne simil doriche erano in realtà vecchie robustissime tubazioni in cemento preformato, capovolte e unite alla trabeazione da un paio di bassi refrattari ben intonacati come modanatura. La mensola del camino che pareva uscita da un'unico imponente tronco era stata ottenuta montando insieme con cura alcune vecchie traversine da strada ferrata, da cui erano state ricavate anche le panche dei sedili a parete in peperino (locale, dalla cava della vicina Contrada La Pilara), nonchè gli scalini della scala coll'armatura di ferro che portava al piano di sopra ed alle camere da letto, un piccolo capolavoro di progettazione in sè, un giro di chiocciola non a chiocciola che lasciava ammirati gli architetti e i geometri in visita. Tutta la casa si reggeva su un'unica trave portante in armato, ed il resto erano pilastrini in mattoncini, leggeri, rustici, eleganti e apparentemente fragili e tuttavia misteriosamente integri nonostante la zona fosse francamente sismica. Archetti, travi, colonne e pilastrini andavano a gravare su fondamenta a sacco di antica concezione, eppure la casa, non una parete in perpendicolo ad un'altra nemmeno per sbaglio, aveva attraversato intatta sei decenni e prometteva di farsene altrettanti senza fare una piega.

E cosa dire, poi, dell'area archeologica su cui questa casa di fate era stata eretta? Era attraversata proprio dalla strada romana che tagliava , benchè parzialmente interrata, tutta la contrada. Il vecchio fattore, manovalino dodicenne all'epoca della costruzione, narrava che nello scavare il cortile, gli sterratori a giornata, non sorvegliati, avevano portato alla luce un colombario: avevano rotto tutte le anfore ed avevano aperto tutti i loculi che avevano potuto dissotterrare, razziando le monete ed i corredi funebri e tutto quello che potevano estrarre in un giorno, per poi eclissarsi per sempre. Più tardi avevano aperto un ristorante, a Lanuvio, tuttora esistente, coi proventi del furto sacrilego, dandogli l'appropriato nome de "Il Tempio". Il proprietario di allora, l'architetto Otto Stein, direttore in pensione dell'Ufficio Brevetti di Roma, aveva scaramanticamente ricoperto lo scavo, lasciato a metà dai tombaroli, ma la cosa non gli era servita granchè: lo avevano ritrovato, morto da giorni, un anno più tardi, sulla strada per la vigna; viveva da solo e all'epoca, era la fine degli anni 50, la sua era praticamente l'unica casa della contrada, tolti alcuni ruderi medievali riattati a ricovero degli animali: era ancora senz'acqua (usava un pozzo), senza luce e naturalmente senza telefono, un eremo. A perenne memento
erano rimasti, murati nel patio, alcuni pregevoli frammenti di marmi e terrecotte decorative, iscrizioni, teste di animali, foglie d'acanto stilizzate.

Al confine estremo della proprietà si stagliava, severa e solitaria come una torre di guardia, l'antica cisterna in opus incerto che definiva il colmo del colle di Contrada Fornaci.

http://us.123rf.com/400wm/400/400/eperson/eperson1201/eperson120100049/12160813-torre-selce-e-una-torre-del-12--secolo-eretta-sulla-cima-di-una-tomba-romana-sulla-via-appia-appia-a.jpg


Già al tempo in cui mi trasferii a Velletri abitava la Villa una famiglia del settentrione, che l'aveva acquistata per un tozzo di pane dall'ultimo proprietario, il Professor Aulo Enotrio Greco. Prima di loro avevano espresso interesse varie persone, sempre poi scoraggiate dall'isolamento del luogo in cui sorgeva, al centro della Contrada, immersa nei suoi quattro ettari di parco, vigna, oliveto eccetera. Il più interessato, mi raccontava Michele, era stato un ricco palazzinaro genzanese, che l'avrebbe comprata per raderla al suolo e sfruttarne la volumetria per erigere un "villone de Velletri" tutto cemento e alluminio anodizzato. Sua moglie, però, non appena aveva visitato il posto ne era fuggita inspiegabilmente atterrita, nè aveva più voluto sentir parlare dell'affare, che era stato chiuso giocoforza dopo un anno di tira e molla coi settentrionali, unici bidders rimasti. Il Professor Greco era proprio il dendrofilo impenitente di cui si parlava prima, nonchè Preside della Facoltà di Magistero della Sapienza e massimo studioso mondiale di Annibal Caro. Così mi aveva detto Michele, che pareva farne gran cosa,  ma considerando che persino il trafiletto di Wikipedia fatica a trovare un perchè a tal personaggio Caro, se lo definisco oscuro umanista rinascimentale nessuno avrà da offendersi.
 Dal punto di vista
patrimoniale, però, era più rilevante che il Professore fosse il coniuge di una Teichner, dei Teichner del caffè, donna volitiva e contadina di vocazione, viso largo e massa di ricci scuri in un'antica fotografia, era lei che aveva fatto della Villa il centro di una fiorente azienda agricola. La Signora aveva avuto marchiato a fuoco nell'anima dalle persecuzioni e dai lager patiti in famiglia e dalla fame della guerra e dopo guerra il sacro rispetto e la devozione per la terra che nutre. Poi il figlio maggiore era incappato in un incidente fiscale di grosse proporzioni colla sua torrefazione, e i Greco avevano dovuto monetizzare il patrimonio onde evitare pignoramenti e sequestri e garantire alla figlia minore, anch'essa professoressa alla Sapienza, la sua quota dell'eredità, da cui il prezzo d'affezione finale dell'ultimo passaggio di proprietà. La Signora, legata alla Villa da profondo sentimento, per una sorta di fortuna all'epoca della vendita era già scomparsa, e la Villa, deserta da anni, in stato di abbandono. Questo stato, però, più che contingente, mi sembrava fosse una caratteristica intrinseca dell'immobile, che, refrattario ad ogni intervento di ristrutturazione,  appena tirato su da una parte ricadeva dall'altra, conservando imperterrito un'aria di elegante decadenza. La Villa era sempre"da mettere a posto", eppure mai fu francamente negletta, rimanendo esteticamente sospesa in un suo limbo romantico, un poco abitata e un poco abbandonata, un qualche anelito di rifacimento sempre pendente, mai compiutamente sistemata.
Era parte del suo fascino, e della sua innegabile bellezza e di un suo intenso carattere- quasi personale- che la rendeva più presente di quanto potesse essere realisticamente una casa, in misura alquanto inquietante, eppure la situava in una dimensione sottilmente altrove, non totalmente il nostro spazio tempo consensuale e nemmeno un luogo effettivamente paranormale. Essere lì era essere almeno emotivamente in altri luoghi ed altri tempi e soprattutto non ci si sentiva mai veramente soli. Cosa ci tenesse sempre effettivamente compagnia, tanto da provare alle volte l'impulso insopprimibile di voltarsi per guardare in faccia ciò che percepivamo alle spalle, è difficile dirlo, se un ghost tradizionale personificato bene individualizzato o l'ectoplasmizzazione di una creatura più antica, un fauno o un minotauro o una ninfa dei boschi o delle acque, o un'intera collezione di quanto sopra. Qualcosa comunque c'era, c'era sempre.

Così, se da un lato era difficile staccarsene certo non doveva essere facilissimo un normale abitarci e laddove personaggi di altre epoche, lo Stein, La Signora ebrea, figure pesanti , larger than life, avevano sostenuto senza patemi l'onere e l'onore di
un luogo siffatto, addirittura al punto da contribuire a costituirne materialmente ed etericamente  la sostanza, per noi moderni comuni mortali la Villa era un posto tanto affascinante quanto psicologicamente disagevole.
La prima volta che mi resi conto (personalmente) che qualcosa non quadrava nella Villa  fu una notte d'agosto, caldissima come solo a Contrada Fornaci. Eravamo andati a cena dai settentrionali, io e Michele, che da quella pettegola che era aveva stretto amicizia con loro nella sua maniera confusionaria e rumorosa, presentandosi al loro cancello alcuni mesi dopo il loro trasloco, ubriaco e sovreccitato, portando in dono pane fresco, verdure dell'orto e un mazzo di fiori per la signora. Come non cedere alla sua amichevole irruenza? Si erano a loro modo affezionati a lui, ai suoi pettegolezzi, alla sua mite invadenza, alla sua sconclusionata generosità, e lui da parte sua si era mortalmente affezionato al limoncello della signora, che con loro sgomento consumava a litri ogni volta che lo ricevevano.  Erano una coppia di sessantottini in disarmo, un figlio già grande e una figliola adolescente, persone educate, tolleranti e un pò spaesate, affascinati dalla natura perfetta della contrada e dal clima meteorologico ed umano della regione.

Quella sera mangiavamo fuori, un pò distanti dalla casa, sullo spiazzo davanti alla cantina seminterrata che, grazie al soffio d'aria umida e fresca che esalava dall' interno vinoso della stessa, era l'unico luogo vagamente vivibile dell'area, persino nelle ore serali.
Mi spedirono alla Villa a recuperare posate e bicchieri di carta, conoscevo la casa per esservi stato ospite con Michi precedentemente; sostai brevemente in cucina a contemplare il tramonto fiammeggiante dalla grande finestra sopra il lavabo di marmo. Fui sopreso all'udire alcuni passi pesanti nella stanza di sopra, uno studiolo, e un allegro suono di campanellini, prolungato, giocoso. Chiamai i nomi dei ragazzi, che pure sapevo all'esterno, li avevo appena lasciati. Passi e campanelli cessarono di botto. Non particolarmente sorpreso, pensando che qualcuno fosse rientrato dopo di me da un'altra parte, c'erano quattro ingressi alternativi alla Villa, oltre alle portefinestre, tutte aperte per il caldo, me ne tornai alla cantina. Rimasi di sasso a trovarvi, comodamente seduti o intenti a curare le braci del barbecue, tutte le persone che sapevo presenti alla cena, ovvero io e Michele e la famiglia. Mi allarmai subito, temendo la presenza di un ladro che avesse approfittato della nostra festa all'aperto per introdursi non visto, c'è qualcuno in casa dissi al padrone di casa, dobbiamo andare a controllare!
 L'uomo e la moglie si guardarono un pò imbarazzati, e la figliola alzò su di me e su di loro occhi fiammeggianti di un'emozione indecifrabile, paura, recriminazione, non saprei dirlo. Nessuno comunque si alzò per seguirmi alla casa, e l'uomo mi chiese che cosa avessi sentito. Venne fuori che i passi nello studiolo erano una costante da quando si erano trasferiti, fonte inizialmente di litigi e reciproche incomprensioni, essendo associati all'accensione della luce e di un impianto hifi di cui veniva rimproverata la ragazzina, soprattutto da parte del fratello, titolare dello studio stesso. Ora era ormai assodato che questi fenomeni erano del tutto idiosincratici e di origine ignota. Non erano gli unici: assommando tutto ciò che lì avveniva, la situazione dava loro da pensare, sebbene danni gravi a cose o persone non se ne fossero fin'allora registrati. Parlando tutti assieme, concitatamente, raccontarono di oggetti che si spostavano davanti ai loro occhi, forti fischi e campanelli, i passi già citati. La casa era tutta uno scricchiolio, uno schiocco, un battere nei muri e nei mobili, una casa vocale, era il termine che l'uomo aveva usato.Una sera avevano sentito, tutti, distintamente, stando in stanze diverse, tutto l'edificio tremare con un sordo boato. Nessuno si era preoccupato, i Castelli, come già detto, sono zona sismica, ma quando il giorno dopo la signora si era recata al lavoro presso l'ospedale dove era infermiera, aveva quasi litigato con i colleghi che non avevano sentito alcuna scossa. Piccata, aveva telefonato all'Osservatorio Sismico di Frascati, che le aveva confermato che non si era registrato nulla di anomalo la sera precedente.
I fenomeni venivano notati anche da chi, come me, esterno alla famiglia, non ne era in alcun modo al corrente. Il ragazzo mi raccontò che una sera era  in compagnia di un'amica ed avevano visto una grande luce nella sua stanza, come un fulmine globulare. Lei era un persona molto impressionabile, per cui lui non le aveva mai detto nulla dell'infestazione, ed anche in qull'occasione negò di fronte a lei di aver notato alcunchè, dandole dell'isterica. Non avrebbe avuto altrimenti più alcuna speranza di attirarla in casa sua, dove i suoi tolleranti genitori non avevano nulla da obiettare a un pò di sesso giovanile sotto il tetto familiare, e nemmeno a qualche canna o all'occasionale coltivazione di una piantina o due, erano gente così, di sinistra.
Nel ristrutturare la casa, le avevano quasi interamente lasciato l' impianto originale, a loro piaceva così com'era. L'unico intervento un pò fuorilinea da quello che era il suo carattere intriseco di casa solare passiva, parole testuali del capofamiglia, ingegnere presso una grossa azienda elettromeccanica parastatale, era stato di aprire una finestra sul prospetto nord per ricavarne un punto luce per un nuovo bagno. Ebbene, sembrava che quella finestra e quel bagno non avessero pace, il vetro si incrinava fino a spaccarsi in mille pezzi sempre sotto gli occhi di uno di loro; quando infine la finestra aveva smesso di rompersi era toccato alla specchiera, sempre con la stessa modalità, cric cric criiiic!, e lo specchio era irrimediabilmente rovinato, una ragnatele di crepe. Mi condussero eccitati a contemplare l'ultimo exploit degli spiriti nel bagno padronale, una delle poche stanze di misura normale della Villa: l'ennesima lastra da buttare che rifletteva impassibile  un caleidoscopio di immagini del mio viso e dei loro.
Michele rideva della loro eccitazione, massì, che vvoi chessìa, c'è sempre stato, anche da me, si lasciò sfuggire. Lo fissai sconcertato: massì, disse, le luci in mansarda si accendono da sole ciai mai fatto caso? E' il vecchio proprietario...

Eh, Michele... Ed io che ogni volta che le trovavo accese, magari dopo esser stato a Roma a raccogliere gli affitti, mi avvilivo e davo la colpa all'hashish e mi ripromettevo di smettere o almeno di calare, mi dicevo che dovevo piantarla co' sta  macchietta del drugo alla mia età e maledicevo la classica  perdita di memoria a breve termine da abuser!

Non saprei dire quanto era vero e quanto no di quello che mi raccontarono ma era così in carattere con il luogo che se non ci fossero stati fantasmi avrebbero dovuto inventarli. Certo anche loro se vogliamo avevano dato una mano a dare un che di inquieto all'atmosfera del luogo, venerandolo come un reliquia, raccogliendo in una sorta di stanzetta museale vetrinette con i cocci che ritrovavano nella vigna, arrivando ad incorniciare le pagine  ingiallite dal tempo dattiloscritte dal Professore dalle quali si evinceva il meditato percorso filologico che lo aveva portato a battezzare la Villa col nome attuale: pagine poetiche di Salvatore di Giacomo, soprattutto, in cui la parola controra veniva usata nel significato proprio, e definizioni dai Dizionari classici dell'epoca.
  Quanto posso testimoniare io è ciò che sperimentai in prima persona, quando la famiglia, in occasione di una settimana bianca, mi pregò di passare le notti a casa loro, per non lasciarla incustodita e per dare da mangiare a cani e gatti. Una sera, finito il servizio pasti e le mie personali abluzioni, mi ero sistemato beatamente davanti al camino a leggere un libro, in compagnia di Principessa, la loro gatta favorita, una persiana tartarugata  fenomenale cacciatrice di topi e l'unico animale cui fosse consentito  stare in casa. Devo confessare che non ho mai avuto particolare trasporto per i pets, sebbene non nutra alcun pregiudizio nei loro confronti, e non ne ho mai avuto uno che potessi chiamare mio; ma in campagna è giocoforza tenere cani e gatti per ragioni puramente utilitaristiche. Tuttavia la gatta era simpatica, mi teneva compagnia ma senza nessuna invadenza, si lasciava voluttuosamente coccolare senza però imporsi; per essere un gatto, creature non particolarmente intelligenti, era sufficientemente sensibile ed equilibrata.
Quando però a un certo punto mi alzai dalla poltrona per aggiungere un ciocco al fuoco la bestiola, che dormiva sul tappeto ai miei piedi, spalancò gli occhi, fissandomi con le pupille dilatate, si alzò sulle quattro zampe a pelo ritto raddoppiando la sua sagoma minuta e soffiò. Meravigliato le parlai piano piano cercando di calmarla, che c'è Principè, e mi resi conto che non stava guardando me ma un punto dietro di me. In quel momento percepii la pressione di una mano sulla mia spalla,dura, pesante, che mi tirava giù a sedere sulla poltrona e non cessò finchè non mi fui di nuovo accomodato, Paralizzato dalla paura non osai voltarmi ma non smisi di controllare Principessa, che mantenne il suo atteggiamento di difesa e gli occhioni spalancati per qualche minuto e pareva che seguisse qualcosa con lo sguardo. Solo quando, gradualmente, infine sembrò tranquillizzarsi, osai girarmi e gettare uno sguardo nel salone semibuio, e mi alzai, con le gambe che mi tremavano, a ispezionarne i recessi. Nulla.
 Ancora scosso me ne ritornai allora alla mia poltrona ma dalla gemella accanto si levò nel silenzio profondo un distinto scricchiolìo ed il cuscino si gonfiò, come liberato da un peso e a quel rumore la gatta soffiò esplosivamente e fuggì dalla stanza. Non la rividi se non il mattino dopo.
Inutile dire che decisi che per quella sera mi bastava e battei in ritirata nella mia mansarda che, luci o non luci, era senz'altro un posto molto più tranquillo della Villa.

Col tempo la famiglia arrivò ad averne abbastanza della Cosa: la signora era stata vittima di alcune strane cadute, diceva di sentirsi chiamare per nome e come tirare all'indietro per la manica; una volta le avevano dovuto mettere alcuni punti per un brutto taglio sulla nuca. Una amico di famiglia, giardiniere presso la Residenza del Papa a Castelgandolfo e fervente osservante, aveva loro consigliato gli esorcisti del Santuario di Santa Maria di Galloro, professionisti certificati e autorizzati. Un piccolo team composto di padre in paramenti solenni, tre giovani seminaristi come assistenti, tutta l'attrezzatura necessaria, croci d'argento, incensieri,  avevano benedetto con specifiche formule ogni stanza, ogni recesso, ogni pertinenza della Villa, accompagnati da una trepida  padrona di casa che si sarebbe sempre rifiutata di divulgare i particolari più interessanti dell'evento. L'ingegnere, ateo, si era formalmente dissociato dalla questione. Fattostà che, a loro dire, i fenomeni erano cessati, per quanto il luogo abbia tuttavia mantenuto anche dopo, secondo me, il suo clima inquieto, vibrante, come pronto da un momento all'altro a risvegliarsi, a risucchiare giovani energie eteriche per una nuova rappresentazione, a ricominciare la sua petulante manifestazione, in un eterno rincorrersi di reale e immaginario, come per secoli si rincorsero  su questi campi Latini e Volsci, fauni e centauri, prima della storia, prima di Roma, prima di noi e dopo di noi, per sempre.
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Alcuni anni dopo, Michele era appena scomparso, seppi che alla donna era stata diagnosticata una malattia rara, un parkinsonismo atipico  il cui sintomo precoce più caratteristico è proprio la tendenza a cadere all'indietro. Ne sarebbe morta di lì a poco ( la prognosi di questo morbo è di tre cinque anni dalla diagnosi) quando, lei ormai su una sedia a rotelle, la Villa era già passata di mano. Nulla saprei dire oggi degli attuali proprietari, dopo la morte di Michele ho tagliato i ponti con la contrada, troppo addolorato, troppo chiuso nei miei sensi di colpa, troppo preso dalla mia ennesima successiva nuova vita totalmente priva di continuità con le precedenti al punto di renderle irriconoscibili come mie, al punto da doverne scrivere per darne un senso a me stesso.  Spero per loro abbiano nervi saldi, molti soldi, nessuna figlia adolescente in casa, o almeno abbiano avuto il buon senso del palazzinaro burino di vent'anni fa ed abbiano raso completamente al suolo la cara vecchia affascinante impenitente incessante Villaccia.

E chissà se pure questo servirebbe davvero a qualcosa. Forse nemmeno una tabula rasa, con abbondante sale sparso sulle macerie, forse no, non a  Contrada Fornaci.


http://sicilyweb.com/musei/img/gela-ma/5.jpg


2 comments:

Anonymous said...

Ciao, parli di un luogo a me molto caro e di persone della mia famiglia. ho modo di contattarti via e-mail? ti ringrazio

XXXXXXXXX said...

pierrette57@tiscali.it