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Friday, October 18, 2013

Mappa psicopatologica  e della devianza dell'abitato di Contrada Fornaci 2


Ernesto

Da un capo all'altro della contrada, Ovest: Ernesto. Capelli neri e carnagione pallida, lineamenti regolari, anonimi, bassino e smilzo, occhialuto,  l'icona vivente del nerd, mite, sommesso, normale all'apparenza quanto più laterale e non conforme nella sostanza del suo minuscolo essere. Diplomato ISEF, aveva lavorato come insegnante di Educazione Fisica ( così ancora si chiamava la ginnastica all'epoca) nelle scuole medie di Genzano e Velletri per anni. Era sposato con un'insegnante di Lettere, che alla morte del padre aveva ereditato una manciata di ettari di vigna e oliveto ai confini occidentali della contrada, comprensivi di un vecchio ma bellissimo casale. Ernesto, figlio e nipote e pronipote eccetera di una schiatta interminabile di contadini della Valle Latina, Valmontone, Cave, Palestrina, aveva preso una decisione incomprensibile ed aveva mollato il lavoro sicuro con lo Stato per seguire il suo istinto agricolo e si era dedicato interamente alla terra. Dei due  era la moglie che tutte le mattine usciva da sotto il viale di lecci centenari colla loro utilitaria per andare nel mondo. Lui, in piedi prima dell'alba, le aveva preparato la colazione ed era già nei campi, restava nel suo paradiso, eremita volontario, solitudine appena alleviata da Internet e dai contatti elettronici quotidiani coi compagni di Lega Ambiente, impegnato com'era a sorvegliare dall'alto del suo colle  l'ecologia della Contrada, dai piccoli ulteriori abusi edilizi nel mare magnum dei senza licenza, al taglio illegale di essenze protette, agli scarichi non autorizzati, ai cacciatori fuori distanza ed alle discariche improvvisate sui cigli dei fossi. 
Si dava del tu con i sindaci della zona, Velletri, Genzano, Nemi, perché era per loro un incubo, un soggetto enigmatico e pericoloso spinto da motivazioni a loro incomprensibili  che andava blandito con circospezione, tenuto in considerazione, invitato ad ogni convegno, cooptato in ogni comitato o commissione possibile onde tenerlo d'occhio. Primo firmatario di innumerevoli petizioni, presenzialista di banchetti di propaganda, festival politici e puliamomondi, era il campione della legge Bassanini, metri cubi di delibere, determine e regolamenti  comunali che la PA era costretta a fornirgli per legge e che analizzava sera dopo sera pervicacemente, meticolosamente, sempre ostilmente teso a trovare falle legali, bugs burocratici, rischi per la salute e la natura (n.b. che per ragioni ideologiche non possedeva la televisione). Era per le amministrazioni locali circostanti un hooligan ambientale, una mina vagante che poteva in qualunque momento scoppiare e tenere in scacco lottizzazioni, autorizzazioni industriali e artigianali, progetti di sviluppo di qualunque genere, appellandosi ai cento cavilli che l'incredibile legislazione italiana fornisce ai nimby di professione. Ogni protesta lo vedeva in prima fila e teneva duro per anni, contro l'Appia bis, contro l'Inceneritore dei Castelli, contro il raddoppio della Pontina, contro l'autostrada litoranea, contro tutto. Un grandissimo rompicoglioni. 

Geneticamente devoto  al bio, professionalmente combatteva come un leoncino la sua personale battaglia per trasformare la piccola tenuta secondo un modello biodinamico, impresa improba per la dimensione del fondo e per i limiti strutturali di manodopera disponibile ( lui da solo ) e l'asprezza della terra collinare, povera, dilavata, arida. Il limite più grave consisteva nel fatto che fondamentalmente era un contadino, per nulla portato all'allevamento, mentre essenziale alla chiusura del cerchio steineriano è l'apporto di nitrati e fosfati come gentilmente velocemente prodotti, a partire dal materiale vegetale, dagli organismi animali; in parole povere serve merda. Per produrre la quale, anche con l'utilizzo di animali energeticamente efficienti come il pollame, servono spazi ( di cui Ernesto non disponeva) e lavoro ( come sopra), per cui come uno stercorario umano, si arrabattava a raccoglierne in giro, carriole e carriole fumanti nelle fredde mattine d'inverno scaricate nel carrello del cingolato e portate a riposare nel suo cumulo, da Giacinto, da Michele nelle stagioni in cui teneva un vitello, dalla porcilaia dei rumeni, da Antonio l'anziano pastore a San Gennaro, cui d'inverno consentiva il pascolo nel suo fondo. Non alle capre, però, bestie capatosta incorreggibili, capaci di arrampicarsi sugli olivi come scimmie distruggendone la chioma e di rosicchiare le cortecce degli alberi da frutta come castori: Antonio ammetteva a mezza bocca che, preso dall'ira per la loro testardaggine, a lui stesso era capitato di esagerare col bastone e spaccarne irrimediabilmente qualcuna, di quelle teste toste cornute, "sò stupide", si giustificava, "nun capiscono gnente". Ipse dixit, chi ero io per obiettare. Michi comprava regolarmente da lui ricotta e pecorino fatti in casa, senz'altro deliziosi ma personalmente preferivo passare, viste le condizioni igieniche alquanto opinabili del suo "laboratorio", e mantenermi sul consumo dell'occasionale abbacchio o capretto non ancora marcato, macellato abusivamente, la cottura sana tutto, o quasi. 
Il vecchio marpione non  sarebbe riuscito a nemmeno a sopravvivere si fosse attenuto alle mille norme che in Italia imperversano su tutto agricoltura e allevamento compresi, ogni cavillo un pretesto per un balzello, e tra le quali si districava con laboriosa fatica, lui, a malapena in grado di leggere e scrivere. Da italian illegal breeder, invece, viveva benissimo, nella sua bella villetta accanto all'ovile, e come lui un esercito di macellatori in proprio, casari in nero o distillatori fai da te, illegal farmers di cui Michele era fedele cliente come milioni di anarchici cittadini italiani per i quali è quasi un perverso piacere farsi complici del nero economico, tutto fuorchè piegarsi a uno Stato inefficente e sordo, più delinquente di loro, ed infinitamente più avido, una mostruosità feudalborbonica grazie alla quale un animale collettivo di milioni di vampiri , dipendenti statali inutili, politici di carriera, burocrati infingardi, vivono alle spalle di una delle comunità nazionali più operose e creative del mondo, succhiandone via la vita, indebolandone il tessuto sociale fino a stracciarlo. Chissà se finirà mai, se non con la morte dell'organismo parassitato e allora finalmente anche loro moriranno, mai abbastanza male e sempre troppo tardi.

Un sisifo instancabile di  pregiato materiale organico; ma  Ernesto si distingueva anche  per la dedizione con cui studiava e preparava da solo i fitofarmaci alternativi per le sue colture, troppo povero com'era per l'acquisto dei servizi delle aziende produttrici di insetti utili e trappole ai feromoni. Il suo orto, ordinato e rigoglioso come un giardino all'italiana,  era costellato  di barattoli colmi di birra e limacce morte: almeno le povere bestie spiravano contente (le lumache col guscio, raccolte a mano, finivano in pentola con aglio, mentuccia e pomodoro: buonissime!). I suoi ulivi erano decorati come alberi di Natale di bottiglie ahimè di plastica, piene del liquido alchemico proteico  giallastro in cui affogavano le odiate mosche. Rame ed  equiseto per i funghi, macerato d'ortica per gli afidi, un misto dei due per le maledette cocciniglie che subivano anche l'attacco con spazzole di ferro, delicato lucidare tronchi e rami ore ed ore prima, vigoroso spruzzare sapone nero per la fumaggine poi, che coraggio. In primavera, quando l'assalto agli esuberanti pests che affliggevano le sue colture era più disperato, non ci si poteva avvicinare al magazzino dove lavorava i suoi intrugli: l'odore del macerato di ortica è semplicemente indescrivibile ed associato a quello di equiseto diventa straziante. Credo che afidi e ragnetti bianchi scappassero più che altro per la puzza.

Benchè il grosso delle sue entrate lo facesse coll'olio da olive biologiche spremuto a freddo a pietra, ed il vino naturale -che produceva già in tempi non sospetti, oggi è una mania- così buoni da poter essere ogni anno interamente commercializzati in una cerchia fissa di amici e conoscenti affezionati- era tuttavia sempre infatuato di qualche nuovissimo astruso prodotto con cui poter sfondare in un mercato più ampio- non credo ci sperasse veramente ma era fissato: un anno era la composta di corbezzoli, un altro i marroni sciroppati al rhum, un altro ancora il lemon curd biodinamico, si affaccendava come un furetto coi suoi barattoli, le etichette, l'autoclave, senza mai  addivenire ad un risultato commercialmente sensato. Ce n'era sempre uno nuovo, dei suoi prodotti, allo stand di Legambiente della festa dell'Unità e della festa di  Liberazione e della festa di Rinascita, quest'ultima suppongo un unicum di  Genzano, dove credo si vendesse la maggior parte delle copie di quel periodico storico ormai quasi dimenticato: girava anche a casa di Michele che leggeva più volentieri, però, il suo Manifesto.







Sperimentava anche, tuttavia, in un altro campo, ancora più esoterico. Appassionato da sempre di erboristeria, usava per sè e la sua famiglia, compresa una bimba arrivata in quegli anni, di tutte le erbe disponibili nel suo orto e nei suoi campi, ed erano davvero tante. Le sue siepi miste erano  piene di biancospini e sambuchi e caprifogli e spincervini etc, il suo giardino di aromatiche era il più completo che si potesse immaginare, non solo i soliti rosmarino e lavanda e crespolina, ma le angeliche, i levistici, le olmarie, le saponarie,  gli issopi, le melisse, le altee e le millefoglie - che aggiungeva ben sminuzzate al cumulo per accelerarne la maturazione-  un'aiuola interamente riservata all'aloe: un'enciclopedia. Per fortuna c'era la moglie a frenarlo col suo dolce buon senso di professoressa e a portare la piccola dal pediatra regolarmente, fosse stato per lui l'avrebbe curata solo con cataplasmi e decotti e mucillagini. Che ci si poteva aspettare da Ernesto, vegano, animalista, fanatico della terza metrica: per fortuna c'era lei, benedetta donna, a preparare gli hamburger alla bambina e a darle gli antibiotici. Da lui sopportava tutto con pazienza ma sulla figlia non transigeva.
Ma fosse stato solo questo: in effetti negli anni la sua ricerca si era fatta più, come dire, tangenziale,ed aveva virato decisamente in una direzione smart. L'unico vizio che gli si conosceva era sempre stato il fumo, inteso come maria, ed era conosciuto nel circondario come spietato guerrilla gardener. Piantava un pò dappertutto, nei fossi e negli incolti circostanti, tranne che nel suo fondo, naturalmente. Ricordo che un anno un vicino, piccolo imprenditore meccanico, inventore di suo, fratello di un ingegnere della NASA, un altro caso psichiatrico, sicuramente un Asperger, benchè socialmente funzionante- persino Michi lo considerava strano- passando il trattore nel suo noccioleto aveva scoperto quattro rigogliose piantine alte già un metro. Apriti cielo aveva subito chiamato la forza pubblica, con intervento di una pattuglia di annoiati carabinieri e di una volante, alquanto più decisi, che avevano improvvisato un inutile e fastidioso posto di blocco sulla vicinale irritando un pò tutti. Ernesto si era vendicato l'anno dopo, facendogliene trovare una decina, delle belle pianticelle, sparse nella sua proprietà, nascoste ovunque. Era un gioco da ragazzi, penetrare il suo fondo, considerando che Tamburrini viveva e lavorava a Roma e veniva un paio di volte al mese per rilassarsi e per le manutenzioni. Lo spione aveva capito ed aveva estirpato le pianticelle in proprio, astenendosi dall'allertare la PS: una chiamata all'anno per guerrilla gardening sarebbe sembrata eccessiva, a rischio di attirare l'attenzione proprio sul chiamante, magari sulla famiglia, sul figlio studente di psicologia, medium e sensitivo nonchè abilissimo geek- se non hacker. Personaggio imbarazzante, Stefano Tamburrini, fortissimo telepatico sin  da piccolo, cosa che gli aveva all'inzio creato  la nomea di bambino difficile, per come reagiva a volte aggressivamente con persone che lui sentiva- sapeva- coltivare pensieri moti dell'anima di malvagità magari anche  ben nascosta. Parlare con lui era terribilmente stressante, era sempre avanti di un passo o due nella conversazione, ribatteva alle risposte che non eri ancora riuscito a pronunciare, per quanto ormai fosse consapevole della sua diversità e si sforzasse di celare la sua impazienza al non essere seguito, e sopportasse con filosofia la nostra lenta e ottusa normalità

Tutti a Contrada Fornaci, gli strani  della Provincia.

Ma mentre la coltura della  maria era una attività strettamente privata, un segreto di Pulcinella in realtà ma sul quale nessuno e nemmeno lui aveva mai commentato, Ernesto ad un certo punto si era messo a raccogliere e a provare con i suoi amici tutta una serie di vegetali di cui io stesso non avevo mai sentito parlare: certi fiori arancioni, una bordura anche molto bella da vedere, finivano nelle pipe essicati nature o consumati nello yoghurt -autoprodotto- sotto forma di un estratto nero, resinoso; aveva lavorato a lungo non è chiaro con quali risultati sull'estrazione del DMT dalla canna d'india e dalla scagliola, onnipresenti nei fossi della contrada; una volta coll'alambicco della grappa illegale che era una sua specialità aveva preparato l'assenzio colle cime delle molte artemisie che ingentilivano uno dei suoi viali coll'argento del loro bel fogliame, unite agli altri ingredienti di prassi, semi di anice e finocchio, issopo, menta e melissa per il colore,coriandolo etc... liquore di elevatissima gradazione, credo fosse oltre i 60°. Lo provammo da lui anche io e Michele, una memorabile serata a cena  durante la quale bevemmo la sostanza, di un bellissimo verde smeraldo, con tutto il rituale della zolletta di zucchero e dell'acqua gelata, che la rendeva lattignosa, con effetti a dir poco allucinatori, non so se a causa del velenoso thurione o del diabolico contenuto alcoolico dell'amarissimo preparato. Nutro il credo fondato sospetto che lo avesse arricchito col papavero da oppio, che si procurava dai fioristi, che inconsapevolmente usano le belle capsule per le loro composizioni di fiori secchi. Mai più: il mal di testa del giorno dopo fu anch'esso allucinante, siamo stati male per giorni.

Per cui quando mi propose la datura gentilmente declinai; ma ero con lui la volta che quasi soffocò per la nausea dopo aver masticato come da manuale alcune centinaia di semi di ipomea, un pugnetto. Si convertì successivamente all'assunzione per via anale: io trasecolai, come fai? lo incorporo in supposte di glicerina, mi disse. oddio ma quante te ne servono ?? cinque, sei, glissò un pò imbarazzato. 
Tutti gli anni produceva qualche chilo di lactucarium, di cui era entusiasta propugnatore, per l'insonnia, per l'ansia, per il mal di testa, per la tosse secca, l'avrebbe somministrato  anche a sua figlia se la madre non si fosse fieramente opposta. Lo fumava, lo scioglieva nel tè, lo incapsulava in compresse; l'ho consumato anch'io senza riuscirne a farmene convinto, una sostanza blanda a voler essere buoni, nonostante il nome popolare di "oppio di lattuga" prefiguri chissà quali effetti. Lo vende tuttora su Internet, nelle chat degli psiconauti schizzati come lui, pacchettini sottovuoto da cinque e dieci grammi, "garantito biologico", come se l'estratto di lattuga virosa e lattuga serriola raccolte nei prati  potesse essere altrimenti. 




Il  sogno irrealizzato più vicino al suo cuore, però, il progetto che non ha mai smesso di accarezzare, ininterrottamente, attorno al quale era organizzata quasi tutta la sua attività militante che non fosse semplicemente contro, la sua vera ossessione, un'ala intera della sua vasta biblioteca ad esso dedicata, il wallpaper del suo desktop, lo screensaver del suo computer, una religione che condivideva con una manciata fedelissima di eccentrici praticanti, una vecchia professoressa danese, un architetto locale, il libraio del paese, i trekker del CAI- era uno solo: far dichiarare il Bacino del Lago di Nemi  Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco. Il piccolo agguerrito e composito gruppo aveva preparato una prima documentatissima, dettagliatissima richiesta con un lavorìo durato anni che aveva coinvolto comuni, soprintendenze, università, patrocinatori privati: non era arrivata neanche ad una fase di valutazione, i meccanismi di protezione e tutela di un ambiente troppo antropizzato non erano stati giudicati sufficienti già a livello di Ministero. E tuttavia non si sono ancora arresi, tampinano ancora i sindaci a gli assessori, sfornano ebook e guide self publishing sui sentieri e i piccoli tesori nascosti del cupo vulcano spento, il Tempio di Diana, la Villa di Cesare, il romitorio di San Michele, l'Emissario romano. 
Ultimo parto della loro febbrile immaginazione, in liaison con un pugno di altri pazzi culturalfuriosi,  un Festival del Ramo d'Oro, - nome ispirato alla sanguinosa leggenda del sacerdote schiavo, cui era regalata la libertà all'uccisione del suo predecessore fino alla sua propria morte per mano del suo successore-  la cui ultima edizione a me nota era dedicata nientemeno che a CALIGOLA nella celebrazione del duemillesimo anniversario della sua nascita. 


Solo in Italia. Solo a Contrada Fornaci.


 

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