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Wednesday, August 3, 2011

Nel 1994 lavoravo ormai da quasi otto anni per la Banda Reggiani, arricchita sempre da qualche figlio o nipote nuovo che si intrufolava nella gestione. Purchè firmasse assegni a vuoto era ben accetto: fui io stesso testimone di come alla festa del suo diciottesimo compleanno al Fantasie di Trastevere Ruggero dopo la torta ed i brindisi  ed i coretti fosse portato in un angolo tranquillo dal padre. Lì, sotto la vigile sorveglianza sua e del fido e viscido fattorino nano Antonucci : settant’anni e trecento milioni di assegni a vuoto sul groppone, molestatore di sguattere di cucina a centinaia ai bei tempi del CAF, un uomo una piovra, una fedeltà reciproca con lo Squalo incrollabile- Ruggero fu messo a compilare una decina di blocchetti; ora sei grande, solo la firma, grazie. Era passato come una meteora un cugino Porcacchia, defilatosi quando il padre, pilota di linea in pensione, aveva gettato nelle fauci della Bestia Marina di Ostia Antica una bella fetta dei frutti accuratamente coltivati della sua liquidazione.


 Ero stremato e nauseato fisicamente ed esistenzialmente dal lavoro e dalle droghe. Un giorno dalla mia ragazza svenni; lei chiese aiuto a tutti i presenti del palazzo senza che nessuno riuscisse a farmi riprendere i sensi. Giacevo, mi raccontarono, leggermente irrigidito e mi tremavano le gambe e le palpebre ed avevo la bocca chiusa e i denti così serrati che non riuscirono ad infilarci la congerie di preparati che tutti avevano contribuito ad inventarsi, dall’acqua e zucchero al tredici erbe a 45° di Michele. Alla fine qualcuno con un briciolo di cervello chiamò il 118  e mi portarono al Pronto Soccorso del Policlinico. Nel sangue e nelle urine mi trovarono un po’ di tutto; tuttavia il medico che mi esaminò ci passò sopra poiché nulla era nella quantità sufficiente a provocare quell’effetto. Mi mandarono a consulenza uno psichiatra che diagnosticò una crisi isterica e mi prescrisse  benzodiazepine senza potersi immaginare, probabilmente, la quantità che già ne consumavo. Il medico del Pronto Soccorso mi prese da parte prima di dimettermi e mi dissuase dal seguire la prescrizione. Mi consigliò caldamente, invece, di smettere di abusare, di nutrirmi più adeguatamente e di riposare di più. Mi disse che quando ero arrivato avevo la pressione così bassa che le vene erano collassate e mi aveva dovuto infilare un catetere alla giugulare (l’avevo notato con terrore). Avevo livelli di ammonio nel sangue che solo un epatitico e le transaminasi di un alcolista. Bere e drogarsi continuativamente porta a trascurare il cibo vero ed ero anemico come una gravida al nono mese ed avevo gli elettroliti scombinati in un modo che nemmeno un malato renale. Mi chiese che tipo di morte preferissi, se  un infarto, una cirrosi o la rabdomiolisi. Mi fece notare il pallore delle mie labbra e delle palpebre, le unghie deboli e quasi piatte, mi chiese se urinavo spesso sangue, (eh, insomma..) se mi addormentavo spesso con la sigaretta in mano(oddio, un paio di bruciature sul petto..), mi chiese se perdevo capelli ( i miei meravigliosi capelli neri, e lucidi, oddio, un po’..)
Uscii dall’Umberto I intensamente depresso ed anche un po’ paranoico,( la coca..) incerto se rientrare e prendere a pugni il dottore o prendere a schiaffi me stesso. La ragazza mi aspettava e non volle accompagnarmi a casa a nessun costo; avrei dormito da lei- lo sognava da sempre, sesso si dormire mai-  non sarei andato né a lavorare né da nessun’altra parte. Finimmo per cenare a cinese e canne, Michele con noi da quella pettegola che è sempre stato, mi sfogai un poco, ero angosciato che il mio stato fisico e psichico non mi consentisse più di lavorare, angosciato dalla consapevolezza di quanto fosse difficile uscire dal tipo di vita che facevo, sostanze in primis. Michele sentenziò che dovevo cambiare completamente ambiente se volevo davvero smettere; bella roba era il mestiere con cui mi guadagnavo il pane. Con un’alzata di spalle sbuffò “ Affitta quella bomboniera a San Saba,  non ci stai mai, ho una fila di monsignori ed onorevoli che ti ci pagheresti uno stipendio con una bellezza simile sul Piccolo Aventino, e  poi ti regalo una stanza qua finchè non starai meglio e poi Dio provvede.” Michele ci prendeva col mercato immobiliare come con quello dell’arte, era lì che consolidava i suoi miliardi, e ci alimentava d'altro canto la sua rete di insospettabili quanto misteriose conoscenze. Il suo attico alla Minerva con vista sul Pantheon, ad esempio,  fu per anni affittato a Luca di Montezemolo ad una cifra del tutto simbolica. Lo incontrai una volta alla Tazza d'Oro insieme alla meravigliosa dolcissima Edvige un giorno che Michele mi aveva chiesto di accompagnarlo a Roma per fargli firmare il rinnovo del contratto. 
La casa. Mi era costata il sangue di mio padre quella casa e poi  non mi sarei mai lontanamente immaginato che uno potesse legalmente disporre della sua casa popolare a quel modo. Michele rise fino alle lacrime alla parola legalmente. " ...legalmente...legalmente... cretino!" Era la sua interiezione preferita con noi ragazzi mai ad una signora era sempre gentile e un po' sulle spine con le donne “E poi  la tua empresa chilena  va così bene..ti ci paghi i tuoi vizi, CRETINO!"

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