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Thursday, September 12, 2013

settembre


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Allineo ordinatamente le capsule di gabapentin sulla scrivania segnata del mio studio nella mansarda che è la mia casa in questi anni; sembrano una fila di grasse processionarie arancioni. Quattro : è quanto mi concederò oggi, il mio orange crush è dispettoso, tolleranza quasi immediata, dipendenza impossibile poichè la dose che sballa ha un tableau individuale che non può essere mutato e a farselo più di una volta o due a settimana l'effetto diventa terapeutico, il valore ricreativo si annulla. Ma non è dannoso, si elimina attraverso i reni e non danneggia il fegato, non esiste l'overdose e al massimo tratta l'ansia diffusa. E' un'allegra sostanza da compagnia, predispone l'animo alla tolleranza, rende tutto divertente e rinforza l'effetto delle altre droghe sociali. Seleziono attentamente, alla mia età e con Michele sempre più perso nella coca.  Con un paio di canne e qualche birra coi ragazzi rumeni, i piccoli vermetti they'll make my day. Dalla villa quella disabitata il panorama sembra non finire mai in largo e in lungo dalla periferia sud  di Roma al Monte Circeo e più in là al Monte Giove sopra Terracina, una manciata di scogli azzurri le Pontine, e vibra di calore e di cicale nella tarda mattinata ancora estiva: un miracolo una città giardino estesa per centinaia di chilometri, case e parchi di pini e cipressi olivi e vigne e colline verdeggianti e campi arati all'orizzonte e una striscia di mare celestrino. Un miracolo.
Oggi è l'undici settembre: il 1973 è un passato lontano qualche centinaio d'anni.  Non sono credente ma prego.





september


Aligned in an orderly row on my ancient desk, four gabapentin capsules; they look like a train of fat  smooth orange processionaries. Four's the number, that I'll treat myself  today, my orange crush is a naughty boy , tolerance is immediate, dependence impossible since the recreational dose can go only as far as an individually specific tableau; you get more or more  than once a week and it stops being dope and turns into a drug. At least is as harmless as a drug can be, it's kidney processed and does not affect the liver,  there are no overdose cases known, at the very worst you'll find your anxiety disorders medicated. It's a very companionable drug, opens people to friendliness, makes everything fun and strenghtens the sociable effects in other stuff. At my age and with Michele all but lost in cocaine, I must keep on the safe side. Along with a joint or two and a coupla beers drunk in the good company of the rumanian boys, the four dear little worms they'll make my day.
The view from the uninhabited villa, the one I'm staying in, spreads unendingly under my feet to and fro, from Rome's southernmost suburbs to  Mount Circeo and over, to Terracina's Mount Giove, Pontine Islands just a handful of blue pebbles in the distance. Everything hums and trembles with warmth and cicadas all along the still summery morning: a miracle, a hundreds square kilometres garden city, houses and pines and cypress woods and olive orchards and vines and green hills and brown fields and a light indigo sea ribbon at the farthest horizon. A miracle.
Today is september eleventh: 1973 is a past several centuries done gone. I'm not religious, but I'm silently saying a prayer.

Sunday, September 8, 2013

La mia impresa cilena. Così Michele chiamava l'attività indipendente che mi avrebbe messo pane e maria in tavola, dall'addio al Fungo, e alla Camerieria tutta, in poi. Di questa impresa lui era il socio occulto, il mio link col sottobosco criminale nero e grigio, lui  che non si tirava indietro di fronte a nulla se non al sangue o alla violenza, l'innocente perverso, che adorava ogni tipo di traffico per principio, innanzitutto, per il suo valore socializzante, e che amava e rispettava il denaro al punto da praticare e promuovere attivamente il baratto, nè avrebbe mai rinunciato ad un affare qualunque fosse. In uno dei pub di Trastevere che erano la nostra tappa fissa di fine turno- cooling out resettando il sistema nervoso in modalità down con quantità variabili di alcolici- ci eravamo rintanati al piano superiore quasi buio- impestato di fumo di hashish e vapori birrosi. In un separè vicino una coppia parlava spagnolo fitto fitto. L'accento era di casa. Chiesi loro se erano di Santiago e quasi cascarono giù dalle sedie a sentire il mio twang vintage providencero. Mi presentai e loro pure, un pò sulle spine; ci raccontammo un po' di vite precedenti, erano giovani e non legati in alcun modo alla diaspora politica degli anni settanta; il motivo della loro emigrazione, genericamente, lavoro.
Di che lavoro si trattasse mi fu più chiaro la seconda volta che ci incrociammo nello stesso pub. Erano borsaioli. Incassai mentalmente la testa nelle spalle allo scappellotto che Nicola non avrebbe mancato di mollarmi se avessi dato voce al mio stupore. Dovecazzo vivi? mi avrebbe chiesto, testaccia vuota. Sapendo che lavoravo in un ristorante chic mi chiesero se poteva interessarmi "materiale", per me o in conto vendita. Curioso volli vedere: mi mostrarono un orologio da tasca, dorato, con eleganti numeri in Bodoni e numerose piste concentriche tutt'attorno al quadrante, una con scritto "kilometres", altre erano serie fitte fitte di numeri neri e rossi e due piccoli quandrantini rotondi. La marca era "Breguet". Ce l'ho ancora davanti agli occhi, una immagine nitida come di ieri, di stamattina, il primo cliente della mia ditta. Non ero tuttavia molto impressionato. Loro insistevano, è antico, ci vogliono dare solo il  il peso dell'oro ma non è giusto. Non mi sbilanciai ma, forse, dissi, potevo farlo vedere ad un amico. Mi occhieggiarono sospettosamente la ragazza più malevola, ma lui infine sospirò: se non ci si fida di un compaesano...Quando ci vediamo?
Mi figurai l'effetto che avrebbe potuto fare su di loro un incontro ravvicinato con Michele al meglio della sua forma di quei giorni sporco, puzzolente, arruffato fino alle sopracciglia, semisbronzo o peggio: sobrio e sovreccitato. Scossi la testa, non se ne fa nulla. Non vi posso portare da lui, non riceve chi non conosce. L'uomo fece una faccia furba, vuoi tenere per te i tuoi contatti, eh?
Senti amigo, dice, dammi un tuo documento valido ed io ti lascio il reloje. Ci vediamo qua domani sera, sennò saprò come trovarti. No, gli dissi, non mi interessa, troppo sordido, pensai, menefregasse qualcosa poi. Lui occhieggiò il mio telefono, il mio adorato Microtac Gold, costava  uno stipendio, che solo gli executives aficionados del Fungo e perciò noi camerieri, sempre così sensibili agli status symbol delle persone che servivamo e disprezzavamo da volergli dare uno schiaffo morale, sempre invidiosi, e un telefono era più a portata della jaguar. Lasciami il telefono, dice, e ci vediamo domani qui.
Fui quasi troppo pigro per accettare, ma l'orologio mi incuriosiva. Era bello: tirai fuori la sim dal motorola, ancora una full size, e affidai al borsaiolo il mio bambino, quasi certo che non l'avrei più rivisto, era sicuro un oggetto più facile da piazzare del reloje e molto più trendy.

A Via Goito Michele non c'era.  Iniziava in quel periodo a passare sempre più tempo nelle ville che aveva in campagna a Velletri, forse perchè la sua presentabilità in pubblico andava sempre più deteriorandosi forse perchè lì poteva esprimere la sua bordelainità più liberamente. Decisi di andarlo a trovare, prendermi un giorno di relax, fare una gita, ubriacarmi di limoncello e nocino fatto in casa dal suo fattore; mi feci coprire da Nicola e presi la corriera per i Castelli.
Michele possedeva due ville gemelle, un'occasione immobiliare a seguito di un fallimento,. Si trovavano su un costone appena sotto l'Appia Nuova, nel folto di una rigogliosa pineta, del tutto invisibili dalla Statale, il cui traffico non era nemmeno una vibrazione lontana per come erano in basso,  come fuori dal mondo eppure ad esso collegate da una tortuosa vicinale comodissima a piedi, al cui capo c'era la fermata dell'autobus.  Era uno dei motivi  per cui se le era tenute. Se aveva mai avuto una patente, come affermava, l'aveva lasciata scadere. Non guidava e all'epoca non possedeva una macchina, ma l'ubicazione dei suoi villoni gli permetteva agevolmente di permutare con Roma, anche carico delle ceste di uova e verdure che gli preparava il fattore e che lui regalava ai suoi amici altolocati, ecclesiastici e non. Non era alla villa, quella che preferiva delle due, la più nascosta e la più lontana dall'eliporto (Sì, c'era anche un eliporto. La tenuta era stata degli Zucchet, che usavano il mezzo aereo per le disinfestazioni e per diporto). Mi disposi ad aspettarlo, fumando seduto sul ciglio della piscina vuota, finchè non lo vidi scendere  lungo il viale a cavallo di un asinello. Tipico. Andare in paese facendosi l'Appia coll'asino, proprio tipico.
Ci piazzammo in cucina, Michele ci viveva, lercia, puzzava di morto: due bistecche ben frollate giacevano al sole sul piano del lavandino, il suo pranzo, sul tavolo varie copie del Manifesto e dell'Osservatore Romano. Bevemmo insieme e pranzammo sul terrazzino sotto la pergola. Mi rifiutai di assaggiare la carne (lui no, la finì avidamente), ma non se la prese. E' un peccato buttarla, disse, la sua ascendenza paterna così evidente in queste piccole micragnosità. Poco male, raccolsi pomodori profumati e basilico nell'orto lussureggiante che gli curava il suo contadino e ce li mangiammo sul pane fresco casareccio che Michi aveva appena comprato in paese, innaffiati abbondantemente del bianco cesanese che produceva la sua vigna. Era una di quelle meravigliose giornate di mezza stagione che nel Lazio significano un cielo azzurro profondo, senza una nube, una temperatura ideale e una lieve piacevole brezza, profumi di zagare e terra, un silenzio rotto solo da ronzii di insetti e canto di uccelli. Vale la pena vivere in Italia anche solo per questo.


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Quando mise sul tavolo la bottiglia da due litri di nocino tirai fuori l'orologio in fretta, perchè lo vedesse prima di bere ancora fino da istupidirsi: prima della fine di quel pomeriggio la bottiglia sarebbe finita e pure rimpiazzata, tra chiacchere insulse o sconnesse e discussioni filosofiche o politiche tutte gridate al punto da sembrare una rissa in corso.  C'era da non crederci che potesse farcela tutte le volte senza finire in ospedale in coma etilico. Alla vista dell'oggetto luccicante gli si schiarì lo sguardo istantaneamente e lo prese in mano esaminandolo con affetto. E' di un amico, gli dissi, ti interessa?
Tu non hai amici così, rispose; è rubato. Non commentai, mentre lui lo studiava attentamente. Quanto vuoi ? fece. Quanto vale? replicai. Michi era onesto, almeno con me quasi sempre, e poi ci teneva alla sua reputazione di esperto: a un'asta, disse, potrebbe spuntare tra i trenta ed i cinquanta milioni. Ero esterrefatto: ma tu quanto mi daresti? balbettai. Michele era sempre aperto alla contrattazione e ribattè subito, dato che non puoi portarlo a una casa d'aste e sei un amico ti darò dieci milioni. Il vino mi andò per traverso e stavo per affogarci. Contanti? gracchiai. Eh, sì. 
Ti farò sapere allora, ansimai. Ma tu che te ne fai, te lo tieni? Michele sgnignazzò, machecce faccio, lo metto al collo dell'asino? Se nessuno dei miei amici lo vuole lo porto al Monte. Ma al Monte non ti chiederebbero documenti, chennesò, certificati di proprietà, atti di successione, fatture, cose così? chiesi.
Lui mi guardò con sottile sprezzo, chettecredi, che al Monte ci vado solo a comprare? Ciò chi me lo mette in asta, con una piccola busta gli assegna una polizza legittima e gli regolarizza la provenienza, e me lo vende senza problemi, non è mica un Cezanne! Essai qual'è la mejo cosa? Ci spartiamo pure il valore del prestito...
Eh, Michele. Gli passava tanta di quella roba tra le mani, oggetti meravigliosi, quadri, statue, gioielli, che accatastava alla rinfusa nel suo studio ottocento napoletano -da notaio- e poco alla volta sparivano e altri li rimpiazzavano. Chi ci aveva mai riflettuto sopra? Ero un coglione, ma allora non mi ero reso conto di quanto fosse delinquente. Sapeva cosa comprare e come venderlo.
Spererei, mi fece, che non farai il fesso e ti pagherai il disturbo. Essì, ero un fesso, non ci avevo ancora pensato.


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Col tempo si sparse la voce tra i compaesani che potevo piazzare bene oggetti un pò particolari o difficili e il giro di conoscenza si ampliò. Lo startac che presto rimpiazzò il mio Gold squillava anche dieci volte al giorno per proposte di incontro; cambiai numero e lo distribuii solo ai contatti fissi e prima di estenderlo a nuovi mi strutturai una routine di valutazione del cliente, in modo da scremare gli avventizi e da lavorare solo con seri professionisti. Diventai collaboratore fisso di Michele, i cui gusti e idiosincrasie e competenze mi si stavano piano piano attaccando addosso come un film oleoso: sono stato sempre influenzabile e assorbente come una spugna. Non ero capace di vivere del tutto senza sostanze, ma cominciai a farmi molto più attento, evitando MDMA e simili e soprattutto la coca, sebbene in compagnia di Michele ne vedessi scorrere a fiumi. Almeno uno di noi due doveva smettere di bruciarsi irreparabilmente il cervello.
Avevo ormai dato il mio addio alla Camerieria ed alla mia terza vita; capisco bene, dopo averne mutate tante quante pelli di serpente, come possono sentirsi i gatti.